Solo poche settimane la “City” faceva sfoggio della sua “capacità” di leggere i tempi e innovarsi con essa, facendo emergere con quel dato politico-culturale una immagine dell’Inghilterra, e magari dell’Europa del ventunesimo secolo del tutto nuova e “auspicabile”, segno che la globalizzazione, l’immigrazione e la democrazia producono progresso, integrazione ed esemplari vicende umane, come quelle di Sadiq Khan, primo cittadino di Londra, ascrivibili nel miglior classico romanzo dell’Ottocento; il giovane povero che si fa strada in un mondo nuovo, l’outsider che trionfa contro tutte le previsioni.
Oggi, con il piglio dei “grandi esperti” di politica economica ed estera, la comunità europea si ritrova sorpresa e attonita, davanti un risultato forse annunciato ma minimizzato, che riporta il vecchio continente indietro nel tempo. Gli elettori inglesi hanno votato contro gli immigrati, contro la globalizzazione, contro le élite, contro i burocrati, per l’impero e per la sicurezza perduta…nel continente dei muri e dei fili spinati. Esercizio di un voto, che l’Europa di Ventotene non può sottovalutare; farà bene ad accogliere con attenzione e lungimiranza, per cose già viste (Austria) e per quelle che potrebbero verificarsi (Spagna e Italia…), da cui emerge il segno di una “rivolta”, di una voglia di cambiamento, di una presa di posizione (più che di coscienza) dei ceti popolari contro le Elite cosmopolite e benestanti, di una politica sempre più distante dai bisogni della gente, che genera uno stile ed un legame tra il popolo e la democrazia non sempre corretto, di certo non virtuoso e di gran lunga pericoloso. Mi chiedo, infatti, se l’uso e la verifica del consenso popolare su tutti gli aspetti strutturali delle nostre società, sia lo strumento più idoneo a governare i processi, condizionando in forme cosi degenerate, gli equilibri geopolitici ed economici già di per se fragili. Ecco allora, il rischio che le riforme italiane, diventino non più uno spazio di confronto sul merito, ma una occasione ghiotta di esprimersi (nel bene o nel male) contro un sistema, che fa fatica ad ascoltare, che crea distanze e peggio non genera risposte adeguate. L’appello al popolo referendario “che piace tanto ai democratici di ogni latitudine”, diventa così l’arma impropria, di cui non si è grado di gestire e prevedere le conseguenze e le derive, che assumono stili populisti e demagogici, costruendo tribunali all’aperto, in cui è facile far sedere mestatori e capri espiatori dal discutibile lignaggio. Si possono trovare mille ragioni per criticare l’Unione europea, nessuna di certo razionale per sostenere che dopo la Brexit l’economia della Gran Bretagna e il futuro dell’europa sarà più prospero, con comunità più coese e frontiere più sicure. Spetta a chi “rimane”, dimostrare politicamente che lo stare insieme ha ancora un senso, una prospettiva e un futuro, ritrovando le parole della giustizia e della solidarietà…che tanto riecheggiano.